giovedì 25 luglio 2013

E' morto Emilie Griffith: primo pugile omosessuale e storico avversario di Benvenuti

Siamo nel 1962, alla bilancia che precede il peso ufficiale dell'incontro mondiale tra Benny Paret ed Emilie Griffith, volano parole grosse. I due si conoscono bene, e non si piacciono affatto. Si sono affrontati già due volte, con in palio sempre il titolo walter, che è ormai una cosa a due da quando Paret l'ha strappato a Don Giordano. Si odiano, ma si rispettano. O almeno fino a quel pomeriggio s'erano sempre rispettati.  Paret s'avvicina a Griffith, gli tocca il culo e gli fa: «Ti piace, vero? Sei un finocchio». Scoppia il finimondo. Interviene la forza pubblica. Emilie Griffith grida «Ti ammazzo», l'altro continua «Sta zitto, frocio!».

Bernardo Benny Paret per tutti è Kid, è cubano, e prima di diventare pugile lavorava nei campi di tabacco, ma ora è il campione del mondo in carica dei pesi walter. Ha solo 25 anni, eppure ha già deciso di lasciare, senza motivi ufficiali. Qualche altro incontro col titolo in palio per far cassa, qualche pubblicità, e poi basta. Emilie Griffith ha un anno di meno, ed ha già 32 incontri all'attivo, una sola sconfitta, proprio contro Paret, l'anno prima. Non ha un soprannome ma tutti ne conoscono le sue stravaganze, è uno che si è fatto largo nella vita a suon di pugni, ma ama le paillettes, i pantaloni aderenti e le canotte attillate. E' gay, anche se il termine gay ancora non esiste, ed è gay nell'America della boxe che non ammette figure fuori dagli stereotipi e dove l'omossessualità è considerata una malattia. 

Siamo all'ultima ripresa, Benny Paret ha retto a fatica le ultime tre ed ha la faccia che è una maschera di sange, pochi secondi dal suono del gong ed è subito all' angolo. Ma ha la guardia bassa, ed è incapace di difendersi. Emilie Griffith spara uppercut a ripetizione prima che l'arbitro intervenga. A contarli si fa fatica. Sono trenta, e ventinove vanno a bersaglio. E' un massacro. Pariet morirà dieci giorni dopo in ospedale, senza mai essersi risvegliato dal coma.


Emilie Griffith è appena all'inizio della sua carriera pugilistica e la vita gli ha già presentato il conto. E' il pugile omosessuale che ha ucciso Benny Parter sul ring. Il tema caldo è quello. Per molti dovrebbe ritirarsi. Smettere con la boxe, e smettere di ostentare la sua "malattia". Ma lui continua, sia a combattere che a frequentare locali vietati. Attira su di sè moltissime antipatie, e sono in tanti ad esultare quando Rubin Carter pochi giorni prima della notte di Natale del 1963, lo mette ko al primo round, con un brutale diretto destro. Ma la vita va avanti e i pugili come Griffith si rialzano. Batte ai punti il grande Louis Rodriguez e rivince il mondiale welter.

Poi mette peso e sale di categoria. Nei medi affronta Monzon, Napoles e Minter. Riempie il Madison Square Garden 25 volte. Fa il tutto esaurito quando strappa il titolo al mito Dick Tiger, titolo che poi difenderà anche contro Joey ArcherCombatterà un numero impressionante di round mondiali, laureandosi per ben cinque volte campione del mondo. Con in mezzo i memorabili combattimenti contro Nino Benvenuti, che gli strapperà la cintura WBC due volte su tre. Poi la dialisi, la demenza senile, una pensione di 330 dollari e la casa pignora. Qualche anno da clochard, poi gli anni nei tribunali, una pratica legale vinta e dinuovo i soldi, tanti, un'adozione, ma interi pezzi di vita quasi tutti dimenticati per colpa dell'halzaimer. Qualche anno fa gli avevano fatto incontrare il figlio di Benny Paret. Lui, dopo averlo guardato, gli aveva detto: «Hai gli occhi di tuo padre». E basta. Niente di più. Perché quella era l'unica cosa da dire. Si è spento oggi un grandissimo del pugilato, aveva 75 anni, era un picchiatore fenomenale. Un campione. E basta. E' questa l'unica cosa da dire.

Nessun commento:

Posta un commento

Traduci la notizia in tutte le lingue